Ricordo d'Autore
Le fettuccine Alfredo sono il piatto italiano più famoso negli Stati Uniti d'America. Una preparazione tipica della cucina romana, nata agli inizi del secolo scorso dall'estro creativo di Alfredo Di Lelio.
Per raccontarvi un po' di Alfredo Castelli e della sua influenza su di me, partirò apparentemente da lontano.
Le fettuccine Alfredo sono il piatto italiano più famoso negli Stati Uniti d'America. Una preparazione tipica della cucina romana, nata agli inizi del secolo scorso, per la precisione nel 1908, dall'estro creativo di Alfredo Di Lelio. Come si cucina questa specialità? La ricetta è semplice quanto sostanziosa: fettuccine all'uovo, grana (parmigiano, in alternativa) e burro. La leggenda vuole che a esportare il piatto e renderlo à la page Oltreoceano ci abbiano pensato due popolari volti del cinema statunitense, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, reduci da una complice vacanza romana. A dare sostanza a questa potenziale diceria esistono non solo le foto dei due divi dello schermo d'argento in compagnia di Alfredo e del suo gustoso piatto di pasta, ma anche due posate d'oro, donate da Fairbanks e Pickford al cuoco nel 1927, con incisa la dedica «Ad Alfredo, il re delle fettuccine».
Al di là del nome "Alfredo", vi starete domandando come si colleghi il racconto di questa vicenda culinaria ad Alfredo Castelli. Provo a spiegarlo. Nel corso dei tanti anni nei quali ho condiviso la vita di redazione con Alf (così mi piaceva chiamarlo), il mio vulcanico, creativo, colto, affabile, ironico collega ha avuto modo di vestire più e più volte i panni dell'affabulatore perditempo. Abiti che gli si attagliavano perfettamente.
Si faticano a enumerare le occasioni in cui, pur di procrastinare la consegna di un lavoro, Alfredo lasciava il suo ufficio e, mani intrecciate dietro la schiena, cominciava ad aggirarsi tra le scrivanie di via Buonarroti 38.
Si faticano a enumerare, difatti, le occasioni in cui, pur di procrastinare la consegna di un lavoro, Alfredo lasciava il suo ufficio (che - fun fact - da ormai sei anni è divenuto il mio ufficio, e lo rivelo con malcelato orgoglio) e, mani intrecciate dietro la schiena, cominciava ad aggirarsi tra le scrivanie di via Buonarroti 38. Se nei pressi di una di queste trovava una sedia libera, era fatta! Prendeva posto e, indipendentemente dal fatto che la persona dall'altra parte del tavolo fosse più o meno impegnata, iniziava a raccontarle qualcosa. Non una cosa qualunque: al di là di qualche commento sull'attualità, la politica, quel personaggio pubblico o quell'altro, arrivava sempre il momento di soffermarsi sulla sua ultima scoperta (o riscoperta), raccontanto come fosse avvenuta e perché aveva attirato la sua attenzione. Preparava il terreno, arricchendolo di antefatti, dati e date - queste ultime, magari, non sempre precisissime - e di nomi, rivelando una invidiabile e prodigiosa memoria. Da grande narratore qual era, sapeva bene come la preparazione sia fondamentale per far comprendere all'ascoltatore ogni dettaglio di quanto gli sarà raccontato di lì a poco.
La storia delle fettuccine Alfredo, Castelli non me l'ha mai raccontata. Sono però certo che un tipo curioso e buongustaio come lui, che per di più aveva vissuto a New York per qualche tempo, l'avesse archiviata nel suo infinito database di conoscenze. Scrivendone, non ho potuto fare a meno di immaginare Alf, accanto a me. Ho rievocato mentalmente la sua voce. Mi sono cullato immaginando fosse proprio lui a svelarmi quei retroscena. In fondo, si tratta di una semplice informazione aneddotica, ma è anche condita di piccoli/grandi potenziali collegamenti ad altri ambiti: perfetta per consentire ad Alfredo di divagare, ampliando il discorso con approfondimenti riguardo tutti i nomi citati, spostando ancora più in là il momento di fare ritorno alla propria scrivania e di riprendere un banale lavoro redazionale.
Questo mio pezzo poteva comporsi di poche, sentite parole: «Alf, grazie di tutto: mi manchi, ti volevo bene!». Invece è divenuto un muro di testo, un po' per colpa delle passeggiate procrastinatrici di Alfredo: anche quei momenti hanno contribuito a influenzare il mio modo di guardare certe cose.
Avrebbe potuto proseguire con una digressione su Douglas Fairbanks, magari ricordando di come, nel 1919, insieme alla stessa Mary Pickford, al regista David Wark Griffith e a Charlie Chaplin, avesse fondato la United Artists; senz'altro si sarebbe soffermato su qualche dettaglio riguardante la popolarità dell'attore nel nostro Paese. Alfredo, sempre con un occhio di riguardo anche per il ridicolo, non poteva che amare le buffe traduzioni italiane di alcune pellicole pensate per mettere in evidenza il nome del divo in questione. È il caso del trittico "Avventura marocchina di Douglas" ("Bound in Morocco", in origine), "Douglas l'avventuriero dilettante" ("The Knickerbocker Buckaroo") e "Sua maestà Douglas" ("His Majesty, the American")...
Ecco, vedete? Questo mio pezzo poteva comporsi di solo poche, sentite parole: «Alf, grazie di tutto: mi manchi, ti volevo bene!». Invece è divenuto un muro di testo, un po' per colpa delle passeggiate procrastinatrici di Alfredo: anche quei momenti hanno contribuito a influenzare il mio modo di guardare certe cose.
La montagna di conoscenza castelliana ha prodotto una valanga di informazioni distribuite nel tempo, facendomi capire come ogni storia sia come un fiume, prodotto di mille affluenti, che inevitabilmente si dirama in altrettanti rivoli: ho compreso come sia divertente esplorarli tutti quanti, grazie alle storie a fumetti di Alfredo e ai suoi racconti. Ho imparato a scrivere lunghi articoli come questo, utili a rimandare l'adempimento di una noiosa e comune incombenza redazionale. Ma soprattutto, al di là di ogni ironia, ho realizzato quanto sia bello e importante rimanere curiosi per sempre.
Luca Del Savio per la mostra "Il fumettista dell'Impossibile"
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