Mister No e il Gran Sertão di Segrate
Sergio Bonelli
«Mister No ha detto sì!».
Come no? Parola di Mister Nolitta, e ho detto tutto. L'ospite d'onore della serata era lui, e sarei rimasto davvero male se non fosse venuto. Ero appena rientrato dal giornale e mia moglie mi era venuta incontro tutta sorridente con la sospirata notizia: Sergio Bonelli aveva dato la conferma definitiva. Schivando impegni e imprevisti come Tex e Carson fanno con le pallottole, garantiva che sarebbe riuscito ad arrivare per ora di cena, al massimo con un filino di ritardo giusto per tenere conto della scaramanzia. Ma la cosa era sicura come un patto sancito dal sacro wampum.
Con Sergio ci conoscevamo da un paio d'anni; a presentarci era stata una cara amica comune, mia collega a "Panorama", che condivideva con me la quotidiana deportazione presso la sede della Mondadori a Segrate.
Con Sergio ci conoscevamo da un paio d'anni; a presentarci era stata una cara amica comune, mia collega a "Panorama", che condivideva con me la quotidiana deportazione presso la sede della Mondadori a Segrate. Parecchi di voi avranno di sicuro presente quella specie di Caienna: considerata un capolavoro modernista di Oscar Niemeyer, l'architetto di Brasilia, è in realtà una succursale del deserto dei Tartari piazzata in mezzo al nulla, dove le gigantesche carpe dello stagno passano la giornata a osservare stupite le pallide larve umane che s'affannano irrequiete e boccheggianti come pesci in un grande acquario di cristallo. Ma anche gli esseri umani non possono fare a meno di guardare quell'edificio con l'occhio della carpa: è una specie di UFO piovuto dall'Altrove nel bel mezzo di quel tratto di pianura tra l'Idroscalo e Milano San Felice, più o meno come il monolite di Kubrick precipitava inopinatamente fra i nostri stupefatti antenati antropoidi in una celebre sequenza di "2001: Odissea nello spazio".
Per sopravvivere in un posto del genere ci vuole fantasia: dentro di me l'avevo scherzosamente ribattezzato il sertão di Segrate, paragonando il panorama che circondava "Panorama" ai desertici bassopiani del Nordest brasiliano; a volte invece mi divertivo a immaginare l'Idroscalo come un domestico Rio delle Amazzoni dove Mister No/Nolitta era pronto ad ammarare con il suo Piper scalcinato per poi risalire in barca l'immenso corso fluviale alla ricerca del mitico Eldorado vagheggiato da Francisco de Orellana, il conquistador spagnolo che per primo aveva esplorato quel fiume da favola, straordinario serbatoio di storie che avevano incendiato l'immaginazione di avventurieri autentici o inventati, come quel Brian Sweeney Fitzgerald, detto "Fitzcarraldo", protagonista di un celebre film di Werner Herzog sicuramente visto e amato da Sergio, che in quella pellicola del 1981 poteva ritrovare passioni e temi avventurosi legati alla stessa geografia in cui già da sei anni ambientava le sceneggiature del suo Mister No, alias Jerry Drake.
Un avventuriero, certo: parola ambigua, da maneggiare con cura. Hugo Pratt, il creatore di Corto Maltese, che di Sergio era grande amico, diceva che un avventuriero «è sempre visto come uno che non ha le carte in regola, un emarginato, uno così... invece non è vero, perché l'avventuriero vuol dire avvenire, vuol dire quello che succederà domani».
Se vuoi viverla pienamente, all'avventura ti devi abbandonare con la libera disponibilità e l'appassionato disincanto di Mister Nolitta e del suo gemello diverso Mister No.
Per dirla in buon latino, adventura sono le cose che accadranno. Perciò, se vuoi viverla pienamente, all'avventura ti devi abbandonare con la libera disponibilità e l'appassionato disincanto di Mister Nolitta e del suo gemello diverso Mister No. Questo mi ripetevo, già pregustando gli aneddoti di viaggio e le curiosità professionali che avremmo estorto a Sergio nel corso della cena, per la delizia d'uno scelto manipolo di convitati che tra un risotto all'ossobuco e un carré di maiale glassato con mele (frutto d'una breve voga della cucina in agrodolce a casa nostra) non vedevano l'ora di navigare in canoa con Sergio lungo il Rio Juaperi o di accompagnarlo in visita a qualche tribù di indios Jivaro, quelli che hanno la buona abitudine di rimpicciolire e mummificare le teste dei nemici uccisi.
Di quei mondi lontani e per noi infinitamente esotici Sergio era un frequentatore abituale; ne aveva sperimentato tutti gli incanti e i disagi, le noie e gli imprevisti, attraversando fiumi e foreste, percorrendo sentieri intricati e tracciati impervi, seguendo su mappe precarie le indicazioni di luoghi ancora poco conosciuti, forse inesistenti, senza mai perdersi. Per poi tornare ogni volta, più carico e dinamico che mai, al suo lavoro di editore e sceneggiatore di fumetti avventurosi.
A tavola con gli altri convitati - fra i quali sedeva anche uno scrittore importante come Giuseppe Pontiggia, stazza e appetito alla Nero Wolfe (di cui era un patito, chiosatore sopraffino di Nero Wolfe contro l'FBI per gli Oscar Mondadori) - io e mia moglie attendevamo con fiducia che Sergio Bonelli alias Guido Nolitta, il creatore di Jerry Drake alias Mister No, l'uomo che conosceva l'Amazzonia come le sue tasche, colmasse quel filino di ritardo che per scaramanzia si era concesso, e tenendo fede al giuramento compiuto sul sacro wampum atterrasse col suo Piper (ma a questo punto anche un semplice taxi sarebbe andato bene) proprio davanti a casa nostra.
Nella vita, si sa, accadono cose strane. Si può vagare senza mai perdere la bussola nel bel mezzo della panica pianura sterminata in vista del Brasile, o seguire, senza mai smarrirsi, le linee immaginarie delle Vie dei Canti.
Ma chi può davvero conoscere le cose che accadranno? Per Sergio Bonelli, l'Inesausto Esploratore Amazzonico, quella sera il demone dell'avventura aveva in serbo delle sorprese. Nella vita, si sa, accadono cose strane. Si può vagare senza mai perdere la bussola nel bel mezzo della panica pianura sterminata in vista del Brasile, o seguire come Bruce Chatwin, senza mai smarrirsi, le linee immaginarie delle Vie dei Canti attraverso le quali gli aborigeni australiani rappresentavano i miti della creazione e al tempo stesso tracciavano mappe dei territori che percorrevano; ma proprio come anche ai più incalliti bevitori può capitare di perdersi in un bicchier d'acqua, perfino il più ardito esploratore può restare vittima del depistaggio ordito a sua insaputa dal rio destino, mai a corto di equivoci, quiproquò e lapperlà quando decide di farci perdere la trebisonda.
Morale della favola: mentre a tavola l'attesa comincia a farsi spasmodica e solo un residuo di buona educazione impedisce di spazzolarsi gli antipasti, squilla il telefono.
«Ma dove caspita abiti?».
È la voce inconfondibile di Mister Nolitta, e in realtà non ha mica detto caspita, ma un'altra parolina che la casta Musa ci vieta di ripetere.
«Via Vigorelli numero 3, come ti avevo detto» scandisco, fingendo una calma che sono ben lontano dal provare. «Perché, tu dove sei?».
Lo sento confabulare un attimo.
«Il tassista dice che via Vigorelli non esiste. È un'ora che giriamo per tutta Milano, ma non riusciamo proprio a trovarla. Decidetevi: uno di voi due dev'essere fuori di testa. Non mi sono mai sentito così spaesato neppure mentre scendevo su una canoa piena di indigeni Yanoama lungo il Rio Mavaca per raggiungere la confluenza con l'Orinoco».
Mio dio, come faccio a dirlo, a un giramondo di quella fatta, che stavolta si è perso in un bicchier d'acqua? Via Vigorelli non si trova a Milano, ma in un'oasi del sertão di Segrate denominata Milano 2, dove da qualche tempo mi sono trasferito per essere più vicino alla Caienna mondadoriana.
«Ehm, Sergio, in effetti…»
«Scusa, ma il tassista mi consiglia di puntare su Pantigliate, ha scovato una via Vigorelli...».
E mette giù.
Deglutisco, prendo fiato e provo a richiamare. Siamo nei primi anni Novanta, l'era del telefonino è gloriosamente incominciata, ma Sergio non risponde. Quando richiama, una decina di minuti dopo, la sua voce è quella del pugile sconfitto.
«Basta, getto la spugna».
Poi, con un ultimo guizzo disperato:
«Ma sei proprio sicuro che non abiti a Pantigliate?».
«Proprio come sono certo di abitare in via Vigorelli 3, non a Milano ma a Milano 2, frazione di Segrate, Italia, Mondo».
Cala un silenzio pesante come il piombo. Poi, con voce d'oltretomba: «Ormai è tardi, credo proprio che me ne andrò a casa. Inutile farvi aspettare ancora. Mi dispiace, tenevo molto a questa serata con i tuoi amici. Sarà per un'altra volta...».
Facile prevedere come vanno le cose: non c'è mai stata un'altra volta. Dopo quella cena mancata io e Sergio ci siamo sentiti spesso al telefono, nel corso degli anni, per fare qualche bella chiacchierata o combinare un appuntamento al ristorante, ma a casa nostra non è mai venuto. Per Mister No e Mister Nolitta il Gran Sertão di Segrate si è rivelato più irraggiungibile dell'impenetrabile giungla amazzonica. È l'ironia del destino, sceneggiatore imprevedibile delle nostre avventure piccole e grandi.
Credo che Sergio, da uomo del mestiere, alla fin fine abbia apprezzato: certe volte un incontro mancato può sembrare perfino più vero d'una serata ben riuscita. Ed è per questo che provo ancora un gran piacere a raccontarlo.
Roberto Barbolini
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