Ricordo d'Autore

Un ricordo di Carlo Ambrosini

Un sentito ricordo di Carlo Ambrosini, recentemente scomparso, scritto da Franco Busatta e una emozionante tavola di Napoleone disegnata da Paolo Bacilieri in onore di un grande autore, un amico e un collaboratore di lunghissima data.

15/11/2023

La sorella di Carlo Ambrosini, Patrizia, si chiedeva, l'altro giorno, come sia possibile vivere in un mondo in cui Carlo non c'è più. Uno così vitale, energico, un'autentica forza della natura. Un tale vulcano di idee, di progetti, di creatività. Di certo, io ho perso un importante punto di riferimento. Nonostante non fosse molto più vecchio di me, ho perso una figura paterna, per certi versi, una sorta di fratello maggiore. E non soltanto dal punto di vista professionale. Non avevamo segreti, l'uno per l'altro. Quando ci vedevamo eravamo abituati a confidarci tutto senza riserve sulle nostre amicizie, relazioni e frequentazioni, su tutto ciò che combinavamo.

Lavoravo con Carlo dal 1998, dal numero 8 di Napoleone intitolato "Il signore delle ombre", interamente realizzato da lui. L'albo successivo della serie, "La lucertola e il serpente", è stato il primo disegnato da Paolo Bacilieri. Carlo mi chiese di essere particolarmente presente per quanto riguardava il lavoro di Paolo (al suo esordio in Bonelli) perché lui non sapeva bene come gestirlo, pur stimandolo molto. Ammetto che ho adorato lavorare su quella testata, vedere come la scrittura di Carlo maturava albo dopo albo, come acquisiva via via sicurezza, profondità, brillantezza.

Dopo Napoleone è venuto Jan Dix, in occasione del quale avevamo dato alle stampe un "Making Of", che ci aveva permesso di divertirci a polemizzare fra noi nero su bianco. Perché tutto si può dire di lui, tranne che fosse regalato, che non avesse una personalità ingombrante. E come accade con i padri o i fratelli maggiori, talvolta si ha voglia di affrancarsi dai loro punti di vista, dalla loro visione delle cose. Ma abbiamo sempre finito per incappare l'uno nell'altro, tanto è vero che ci siamo poi ritrovati sulle pagine di Dylan Dog, dove Carlo ha avuto modo di continuare a sviscerare il suo talento immettendo nelle storie dell'Indagatore dell'Incubo tutti gli stimoli culturali dei quali un singolare intellettuale novecentesco come lui era imbevuto, innamorato com'era di Simenon e Kafka, di Proust e Calvino, di Musil e Dostoevskij. Per non parlare dei suoi molti amori artistici e cinematografici.

Ma prima c'era stata la rivoluzione di Ken Parker, sul quale aveva esordito nel 1980 con l'albo "Pellerossa". Quanto l'abbiamo amato Ken Parker. E quanto cammino abbiamo fatto insieme a Carlo condividendo passioni, interessi, opinioni, momenti di vita, cambiamenti esistenziali. Perchè la nostra factory di Via Buonarroti era casa per lui. Molti, qui dentro, gli sono stati allievi, amici, interlocutori, confidenti, sodali, pard. Da quando vi era approdato, non credo gli sia mai più passato per la testa di proporsi ad altre realtà editoriali, com'è invece accaduto a molti suoi colleghi.

Devo dire che questo mi ha sempre un po' stupito, anche perché col passare degli anni aveva maturato un approccio grafico che tendeva a discostarsi sempre di più dalla perizia solitamente richiesta ai nostri disegnatori. Non a caso, aveva dichiarato sulle pagine del Dylan Dog Oldboy: «I giovani vogliono esibire il virtuosismo, gli anziani come me la sostanza espressiva. A un arabesco calligrafico, oggi preferisco di gran lunga il segno e il suo spessore.»

Carlo poteva essere allo stesso tempo granitico ai limiti dell'alterigia e sorprendentemente arrendevole, duro e affettuoso, amabile e provocatorio, ostico e compagnone. Una personalità inscalfibile capace di contenere moltitudini. Non a caso il tema del doppio, presente in pressochè tutti i suoi plot. Facce, volti, ruoli e identità in perenne mutazione sono sempre stati al centro della sua narrazione. Un grande fumettista innamorato del fumetto fin dai tempi di Tex e di Kolosso, in grado di mettere la firma sul capolavoro dylaniato "Il lungo addio", ai tempi in cui era appena passato l'innamoramento che avevano avuto tutti negli anni Ottanta per il segno di Josè Muñoz, da Ambrosini a Mattotti, da Igort a Casertano. Un momento in cui anche Tiziano Sclavi era all'apice della creatività. Un Tiziano nei confronti del quale Carlo mostrava costantemente un'infinita stima e un incondizionato affetto.

La scomparsa di Ambrosini è l'ennesimo lutto di un anno dylaniato nerissimo, che ha visto andarsene prima di lui altre due colonne come Luigi Piccatto e Giuseppe Montanari, per non dire di Graziano Origa che teneva banco nelle rubriche dell'Oldboy, un suo storico compagno di strada, tanto è vero che è a lui che si deve il ritratto grafico ambrosiniano ricorrente, da più parti, in questi giorni di note luttuose.

Carlo se n'è andato, ma non prima di avere terminato altre due storie dell'Inquilino di Craven Road che leggerete presto, una sulla serie regolare, l'altra sull'Oldboy.

Ciao, Carlo, non te l'ho mai detto, ma è stato un privilegio lavorare con te.

Franco Busatta


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