A Manaus ci sono arrivato verso l’inizio degli anni Cinquanta. Un amico che ha un’agenzia di viaggi a New York me l’aveva dipinto come il posto più tranquillo del mondo.

In Amazzonia, e precisamente a Manaus, ci sono arrivato per la prima volta verso l’inizio degli anni Cinquanta. Conoscevo quella città nel cuore della foresta pluviale attraverso le parole di un amico che ha un’agenzia di viaggi a New York. Me l’aveva dipinto come il posto più tranquillo del mondo, il più lontano dalla bolgia e dalle comodità della vita moderna, ideale per tipi solitari e poco socievoli, e anche uno dei più difficili da raggiungere, molto al di fuori dai percorsi turistici più battuti. Insomma, per dirla tutta, a Manaus aveva fatto una pessima pubblicità…

Io cercavo un posto fuori dal mondo e da tutte le sue grane, dove potermi leccare in pace le ferite. Soprattutto quelle che non si vedono. E questa Manaus, sonnolenta città in mezzo alla giungla, raggiungibile per via fluviale con un viaggio di una decina di giorni, «il solo posto che a causa della mancanza di strade e del clima pazzesco può garantire una totale evasione dal resto del mondo», secondo il simpatico agente di viaggio che vi dicevo… be’, mi sembrava proprio la meta ideale.

Ci arrivai a bordo di un piper di seconda mano acquistato a Belém, in compagnia del nuovo amico tedesco conosciuto a São Luís do Marañao, con cui avevo fatto una piccola guerra: Otto Wolfgang Kruger, subito ribattezzato “Esse-esse” dagli abitanti di Manaus, che hanno una passione per i soprannomi.

La prima Manaus che ho conosciuto era proprio il posto che cercavo. Non la meta ideale per il turismo, e neppure il luogo di lavoro adatto per un pilota che con i turisti voleva guadagnarsi da vivere.

Io mi portavo dietro il mio fin dagli inizi della guerra: “Mister No” piacque subito ai brasiliani, anche se molti di loro non credevano che me lo avesse appioppato un giapponese quasi dieci anni prima, e preferivano pensare che me lo fossi guadagnato nella guerra di Corea, allora molto d’attualità. 

Manaus, i primi tempi, era una città sonnacchiosa, umida e fatiscente. I battelli da Belém arrivavano con settimane di ritardo, l’aeroporto era una striscia d’asfalto al limitare della selva e sembrava abbandonato come la pista d’aviazione di una guerra ormai finita. Io passavo le mie giornate visitando le numerose bettole della città, attaccando briga con gentaglia più sbronza di me e spassandomela con certe meravigliose garotas che provavano simpatia verso un gringo squattrinato e scombinato.

La prima Manaus che ho conosciuto era proprio il posto che cercavo. Non la meta ideale per il turismo, e neppure il luogo di lavoro adatto per un pilota che con i turisti voleva guadagnarsi da vivere… Insomma, Manaus non era la città migliore del mondo, all’inizio degli anni Cinquanta del ventesimo secolo. Ma per me, con tutti i suoi difetti, quel postaccio era… era OKAY!

Io sono Mister No, a cura di Luigi Mignacco, copertina di Roberto Diso. Dal 22 aprile in libreria, fumetteria e nel nostro sito ufficiale.


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