GUARDATE BENE COSA C’È SULLA VOSTRA TAVOLA. UN COLTELLO E UNA FORCHETTA, CIOÈ ARMI DA TAGLIO e da punta; un bicchiere, potenziale contenitore di veleni; un piatto, che – frantumato – si rivela una letale lama di porcellana… Un vero arsenale, se messo nelle giuste mani. Non c’è di che stupirsene: l’arte del gusto, la sofisticata scienza del palato, siede accanto a una delle più ineludibili e primordiali pulsioni: nutrirsi. Cacciare, uccidere e divorare la preda – retaggio di una civiltà carnivora – sono attività che sembrano sopravvivere, visibili in filigrana, dietro i modi ricercati del gourmet, tra gli strumenti d’acciaio tintinnante del cuoco, per metà esteta e per metà chirurgo di ogni materia commestibile. Nel mito greco, Atreo induce l’odiato fratello Tieste a mangiare i propri figli ben cucinati; nel Macbeth shakespeariano (1605-8) è proprio al tavolo d’un banchetto che lo spirito dell’assassinato Banquo si presenta per tormentare il suo carnefice; ne El Burlador de Sevilla y convidado de piedra di Tirso de Molina (1625), Don Juan invita a cena lo spettro che lo trascinerà all’inferno. E così via. Tre esempi veloci, per mostrare come l’omicidio più spietato, l’autodistruzione e la persecuzione della colpa possano filtrare tra brindisi e portate, tingendo di nero il momento conviviale per eccellenza. Ma la “caccia” non si ferma qui. Accanto alle immagini oscure e bestiali che accompagnano il nostro pasto quotidiano, la gastronomia ha costruito un repertorio vastissimo di tecniche, tradizioni e raffinate sperimentazioni. Dove c’è accurato dosaggio di ingredienti, ricerca dell’assemblaggio perfetto, c’è anche lucido raziocinio e amore per la logica. In una parola: c’è “detection”.