Un giorno, lo scrittore e sceneggiatore George R. R. Martin, una carriera alle spalle promettente e mai decollata, prese tra le mani un libro che gli ispirò immediata simpatia. L’autore era Walter Scott, il più abile mescolatore di Storia e fantasia nelle lettere romantiche. Il romanzo, Carlo il Temerario ovvero Anna di Geierstein, detta, la figlia della nebbia (1829), era ambientato in una zona delle montagne svizzere allora appartenenti alla Borgogna.
Ora, durante la guerra per la successione al trono d’Inghilterra durata trent’anni (1455-1485), il ducato borgognone si era schierato con la fazione degli York, che, alla lunga, avrebbe perso. Nel romanzo, due emissari della fazione opposta, i Lancaster, incontravano la contessa Anna per una missione segreta. Scott entrava nei particolari del conflitto, segnalando come ognuna delle due fazioni avesse per emblema una rosa: rossa per i Lancaster, bianca per gli York.
La notizia è storicamente inesatta, perché la rosa rossa venne usata come un simbolo di parte soltanto nell’ultima fase della lotta, e non dai Lancaster, ma dai Tudor. Tuttavia, la fortuna della simbologia ideata da Scott fu tale che, da allora in poi, la Guerra dei Trent’anni fu anche romanzescamente definita Guerra delle Due Rose, un’abitudine che dura ancor oggi.
Martin dovette indubbiamente apprezzare. Se Walter Scott aveva potuto giocare di fantasia con gli emblemi delle parti in causa, trasformando la feroce contesa per il trono inglese in una battaglia profumata di petali di fiori, perché un americano di due secoli dopo non avrebbe potuto ispirarsi al vecchio conflitto e ampliarlo alle dimensioni di un ciclo fantastico?