“FINIRÒ PER MORIRE… IO DEVO MORIRE DI QUESTA MALEDETTA PAZZIA. FINIRÒ COSÌ, COSÌ E NON ALTRIMENTI!”… Non c’è che dire: Roderick Usher è uno che sa sempre come tenerci allegri. Il celeberrimo protagonista de Il crollo della casa Usher di Edgar Allan Poe (1839) soffre di una spiccata ipersensibilità e di qualche sbalzo d’umore, ma, in fondo, non è un cattivo ragazzo. Il problema che lo affligge sta in qualcosa di vago e oscuro che avrebbe, lui sostiene, ereditato dai propri avi. Una certa inclinazione alla malinconia? Beh, niente di grave. Ma forse c’è anche qualcos’altro, diciamo la predestinazione ineluttabile a una morte tragica e improvvisa? Ecco, qui la faccenda si fa un po’ più preoccupante… Le maledizioni – perché è di questo che stiamo parlando, nel caso non si fosse capito – abbondano e dilagano nella vasta biblioteca della letteratura occidentale. Lo Yahweh dell’Antico Testamento, giusto per partire dall’inizio, è uno che non scherza quando si tratta di prendere a male parole chi lo ha deluso. Sappiamo bene quanti guai siano conseguiti dagli improperi che scagliò sulla testa dei nostri progenitori Adamo ed Eva, per non parlare del “Serpente” (Genesi, 3, 14-19), così come conosciamo la sorte di Caino (Genesi, 4, 11-12), il prolifico Padre degli Assassini che fu condannato a vagare “ramingo e fuggiasco” su una Terra che gli sarebbe stata eternamente ostile…