La prima stretta di mano tra Sergio Bonelli e Tiziano Sclavi avviene intorno alla fine degli anni Settanta e, nel 1981, si trasforma in sodalizio professionale.

La prima stretta di mano tra Sergio Bonelli e Tiziano Sclavi avviene intorno alla fine degli anni Settanta e, nel 1981, si trasforma in sodalizio professionale. Sclavi – nato nel 1953 – è già un veterano della carta stampata, fatto, finito e rifinito. Con attività febbrile, ha disseminato articoli e racconti, nonché una buona dose di scrittura fumettistica, su decine di testate, ma soprattutto coltiva da sempre una tenace passione per la prosa romanzesca. Proprio in quegli anni, difatti, mette su carta una sogghignante e orrorifica “malinconia di provincia” che i più conosceranno soltanto nel 1991 come “Dellamorte Dellamore”.

La “filologia dylandoghiana” vede proprio in questo libro il seme che, nutrito, darà forma alle scorrerie londinesi del più singolare e amato detective del fumetto italiano. Francesco Dellamorte, del resto, somiglia molto al futuro Indagatore dell’Incubo: custode di un cimitero inquieto (come inquieti sono i suoi “ospiti”), affronta gli zombi che bussano alla sua porta con una sobria noncuranza, quasi che vivi e morti fossero, per lui, grossomodo la stessa cosa. Eppure, a dispetto del suo aplomb nichilista, scivola con disinvoltura, forse per distrazione, sull’olio del Grande Amore, quello vero, quello Eterno.

«Io sono un povero fumettaro italiano, non ho contribuito proprio a niente», disse di sé Tiziano Sclavi in una delle sue rare interviste.

Per trasformare questo anti-eroe letterario in Dylan Dog, cioè in un eroe (o quasi-eroe) dei comics, però, manca ancora qualcosa: bisogna chiamare in causa Raymond Chandler e chiedergli di dare a Francesco quel pizzico di paradossale idealismo disingannato che soltanto il suo Marlowe ha saputo indossare senza spiegazzature. Sclavi lo fa, e «davanti a una pizza», come Bonelli amava dire, il futuro Indagatore dell’Incubo riceve l’imprimatur. È il 1986. Il resto è storia.

«Io sono un povero fumettaro italiano, non ho contribuito proprio a niente», dice di sé Sclavi in una delle sue rare interviste. Non ci azzardiamo a contraddirlo. Al nostro posto lo faranno il semiologo Umberto Eco, il filosofo della scienza Giulio Giorello, il giallista Carlo Lucarelli, il giornalista-scrittore Corrado Augias e altre eminenti figure della letteratura e dell’accademia italica, che fra le vignette dell’albo bonelliano intravedono “universi di senso” tutti da esplorare; lo faranno le centinaia di migliaia di lettori che ogni mese – allora come oggi – omaggiano quella stessa superficie di carta stampata d’una attenzione spasmodica, appassionata, militante; lo faranno decine di saggisti, esperti o neofiti, che passo dopo passo vanno accumulando una vera e propria bibliografia dylandoghiana. È una “tirannia della maggioranza” a cui siamo lieti di sottometterci.

Gianmaria Contro


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