Si intitola “I delitti del fante di cuori” (Newton & Compton) la trasposizione in romanzo di Gli occhi e il buio di Gigi Simeoni. La presentazione in libreria a Milano del volume, fissata per le ore 18:00 di mercoledì 7 giugno alla Libreria Giunti (v. Vitruvio 43) è l’occasione per comprendere l’approccio narrativo che ha avuto lo sceneggiatore e disegnatore bresciano nel realizzare quest’opera. Per questo abbiamo chiesto a Luca Crovi, che condurrà l’incontro, di realizzare questa breve intervista con l’autore.
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Il germe da cui è scaturito Gli occhi e il buio risale a quando ancora frequentavo il liceo. Mi ero chiesto quali limiti dovesse rispettare un artista, se doveva porseli.
► Ci puoi ricordare com’era nato il progetto “Gli occhi e il buio”?
Il germe da cui è scaturita la storia risale a molti anni fa, quando ancora frequentavo il liceo. Mi ero chiesto quali limiti dovesse rispettare un artista, se doveva porseli. Non è una domanda che permette risposte facili, veloci. È, volendo, anche un trabocchetto mentale, iperbolico, come quello del cosiddetto “paradosso del mentitore” che dichiara di mentire sempre (e, quindi, anche nel momento in cui fa questa dichiarazione). L’artista è libero, per antonomasia, e quindi libero anche dalle convenzioni, o dalle Leggi che governano la società? Se così non è, e deve sottostare a norme di convivenza civile, può definirsi ancora libero?
Mi ero trascinato questo pensiero, al quale di tanto in tanto dedicavo qualche minuto di riflessione mentre la mia vita scorreva intorno. Poi, un pomeriggio di molti anni dopo, quando ero già un professionista e operavo in scuderia alla Bonelli, mi telefonò Stefano Vietti e mi disse che l’editore stava per mettere in cantiere una nuova collana di storie ad ampio respiro, numero di pagine indefinito e totale libertà sul tema. Era l’occasione giusta per proporre il soggetto.
Andava tutto “vestito” daccapo, ovviamente, ma l’occasione era davvero imperdibile. Così, mi ero messo d’impegno per individuare il contesto storico ideale per far deflagrare al meglio le tematiche che avevo a cuore. “Gli occhi e il buio” nasce così, da un’attesa durata anni per trovare il momento propizio.


Ho approfittato della riscrittura per inserire scene più adatte a una descrizione in prosa, che se tradotte in fumetto sarebbero risultate inadeguate, noiose.
► È stato facile trasporre in romanzo il fumetto originario?
All’inizio, peccando di presunzione, avevo creduto che sarebbe stato sufficiente declinare al passato remoto i verbi al presente che avevo usato in sceneggiatura. Naturalmente, non è stato così: mi ero reso immediatamente conto, infatti, che la riscrittura doveva essere praticamente completa. Si sono salvati solo brani di dialoghi, in effetti, mentre il resto è stato ripensato in una chiave diversa. Cambiando il medium, cambia il modus operandi.
Ho approfittato, poi, della riscrittura per inserire scene più adatte a una descrizione in prosa, che se tradotte in fumetto sarebbero risultate inadeguate, noiose. Le introspezioni psicologiche gestite a fumetti richiedono, per forza, una certa stringatezza. Ma con la prosa ci si può lasciar andare maggiormente alle sfumature. Al contrario, la spettacolarità di una veduta urbana di mezzi e persone, con lo sfondo dei palazzi storici, il passaggio delle carrozze e dei tram gremiti nell’ora di punta, è appannaggio della “mise en scène” a fumetti, perché con la prosa serve molta meno fatica per destare l’immagine nella mente del lettore. In totale, ho riscritto daccapo per cinque volte il romanzo in prosa.
► È vero che hai scelto di modificare anche certi eventi della storia?
Sì, verissimo. La mia agente, Colomba Rossi, aveva letto il testo e mi aveva detto di temere che l’aspetto psicopatologico del protagonista fosse ridondante, ipertrofico. Così, avevo eliminato il personaggio di Angelo, l’amico immaginario e alter-ego di Alessandro. Una volta finito, però, mi ero reso conto che quella figura era fondamentale per la comprensione di alcune sfaccettature del protagonista principale, della dimensione della sua follia. Così, ho riscritto tutto reinserendo Angelo e dandogli ancora più importanza, convincendo la mia agente della bontà delle mie intenzioni.

Nel fumetto, che è soprattutto azione, l’aspetto introspettivo deve essere suggerito con grande misura e sapienza. Deve titillare l’esperienza del lettore, coinvolgerlo.
Anche per quanto riguarda Sante Ferrari, il vivace e ficcanaso reporter de “Il Secolo”… non posso dire nulla per non svelare troppo, ma era un personaggio troppo importante e curioso per perderlo così in fretta.
► Quali pensi siano le maggiori differenze fra il linguaggio dei fumetti e quello dei romanzi?
Proprio ciò a cui accennavo prima: il fumetto permette di pre-fabbricare una rappresentazione, una messinscena dettagliata. Puoi mostrare i dettagli vividi delle scenografie, le sfumature delle espressioni dei personaggi, le luci e le prospettive, i “macro” sui dettagli importanti. Nulla, insomma, di diverso dal cinema. Nel fumetto, che è soprattutto azione, l’aspetto introspettivo deve essere suggerito con grande misura e sapienza. Deve titillare l’esperienza del lettore, coinvolgerlo tramite rapidissimi suggerimenti visivi, senza perdersi in voli pindarici e cadute verticali dentro i personaggi. Attenzione: non sto dicendo che ciò deve essere evitato, ma solo che deve essere di gran lunga tenuto sotto controllo, stringato e ridotto all’osso.
Il lettore di prosa, invece, spesso chiede di essere introdotto a fondo nella psiche dei personaggi. Vuole esplorarli, indagarli con la propria idea ed esperienza, e ci si crogiola. Lì, lo scrittore esperto sa quali corde toccare per far risuonare il lettore, così come il fumettista di lungo corso sa quali vibrazioni suscitare con l’utilizzo di luci e ombre, tagli d’inquadratura, guizzi espressivi nella recitazione.

► Anche “I lupi di Hitler” prima di essere un romanzo era un fumetto, ed è stato il primo tuo primo approccio alla trasformazione di una tua storia. Possiamo dire che è stato un buon terreno di prova?
“I lupi di Hitler” nasceva, in realtà, prima come romanzo. Inoltre, era stato scritto alcuni anni dopo Gli occhi e il buio. Il titolo, all’epoca, era ancora “La corsa del lupo”, e dopo un girovagare apparentemente infinito per trovargli casa presso una casa editrice, lo avevo momentaneamente lasciato in un cassetto per dedicarmi a tempo pieno a Dylan Dog.

Ho già iniziato a trasporre Stria, per la quale ho in mente anche delle varianti rispetto al fumetto, ma ho anche alcune idee forti per delle scritture ex-novo.
Nel 2015 fui coinvolto in un grave incidente stradale, che mi costrinse a letto per alcuni mesi e mi procurò qualche problema dal punto di vista dell’organizzazione delle idee, a causa del trauma cranico. Non riuscendo a trovare la concentrazione per creare nuove storie per Dylan Dog, proposi alla Bonelli la realizzazione di un fumetto basato sul mio romanzo inedito, “La corsa del lupo”, e la storia uscì in tre parti sulla collana Le Storie. In seguito, mi sono affidato a un’agenzia letteraria che mi ha trovato l’editore per pubblicare la versione originale in prosa con un nuovo titolo, “I lupi di Hitler”.
Per rispondere alla tua domanda, quindi, sebbene le pubblicazioni siano invertite, è stato il “Fante” a fare da terreno di prova per il “Lupo”!
► In futuro pensi di adattare altri tuoi fumetti in romanzo o preferirai tentare la strada di scrivere storie originali per i lettori?
Ci sto pensando. Ho già iniziato a trasporre Stria, per la quale ho in mente anche delle varianti rispetto al fumetto, ma ho anche alcune idee forti per delle scritture ex-novo. Un po’ alla volta, vorrei realizzare tutti i miei progetti.
A cura di Luca Crovi
Gli occhi e il buio, testi, disegni e copertina di Gigi Simeoni. Disponibile in libreria, fumetteria e nel nostro sito ufficiale.
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