“Reduce da anni di intensa attività sia in campo pittorico sia in campo grafico, Cortez – come gli piaceva farsi chiamare – fu il primo “art director” ufficiale della nostra Casa editrice e tale è rimasto per ventitré anni, fino al 1998, quando ha deciso di andare in pensione. In tutto questo tempo, vederlo impegnato sul suo tavolo di lavoro, con la pipa sempre accesa e il sorriso sempre pronto, è stato davvero un piacere per me. Luigi, infatti, sapeva passare con disinvoltura (e con la stessa, immutata, maestria) dalla creazione di titoli perfettamente in sintonia con lo spirito delle storie, all’invenzione di “marchi” in grado di condensare con la massima essenzialità lo spirito dei personaggi. E, in questo ambito, non posso non pensare a quanto siano efficaci, per l’appunto, i “marchi” che Cortez ha progettato per le più importanti collane bonelliane, sempre restando in sintonia con il genere cui esse appartenevano: il fantascientifico Nathan Never, l’orrorifico Dylan Dog, il poliziesco Nick Raider, l’insolito Martin Mystère, per non parlare del mio amatissimo Mister No…”
Questo scrisse di lui Sergio Bonelli nell’introduzione del volume “La grafica di Corteggi dalla Corno alla Bonelli”, pubblicato nel 2003 dall’Editoriale Mercury. Vogliamo ricordare il geniale autore milanese appena scomparso con queste parole ma anche con le sue, registrate in occasione di una lunga chiacchierata tenutasi in redazione poco tempo fa. Qui Luigi Corteggi ci racconta qualcosa dei suoi vent’anni abbondanti di lavoro per Sergio Bonelli Editore, ma nelle prossime settimane pubblicheremo anche un altro estratto, in cui i ricordi di Cortez si concentrano sui lavori per altre case editrici e altri ambiti professionali.
► Quando è avvenuto il tuo passaggio alla Bonelli? Con che ruolo hai iniziato?
Io e Raffaele Cormio collaboravamo spesso insieme, facendo tante cose diverse. Addirittura, il mio fumetto “Thomas” (Editrice Augusta) l’ha letterato lui! Quando andai via dalla Corno – la Casa editrice per cui lavoravo dalla metà degli anni Sessanta – lo chiamai e gli chiesi se alla Bonelli, dov’era impiegato lui, ci fosse bisogno di uno come me: facevo un po’ di tutto, grafico, illustratore… Mi richiamò un quarto d’ora dopo dicendo che Sergio Bonelli mi voleva conoscere. Presi l’auto e venni in redazione, e andai qua dietro a mangiare un risotto alla milanese con Bonelli. Alla fine del pranzo mi disse “Guarda che però noi siamo una piccola Casa editrice, siamo una famiglia…“. Credo fosse il marzo del 1975.
All’inizio lavorai insieme a Cormio, ma lui si licenziò dopo due mesi per andare a lavorare al Giornalino. Io feci una quarantina di copertine del Piccolo Ranger, ereditando il ruolo di illustratore da Franco Donatelli, poi mi diedero l’incarico di impaginare la collana “America”, curata da Decio Canzio. Quindi nacque “Un uomo un’avventura” e via via tutte le altre collane… Facevo tutti i loghi, ma impaginavo anche le terze e le quarte di copertina. La parte grafica, insomma, la curavo tutta io.
![]() Il particolare di un a copertina de “Il Piccolo Ranger”. Clicca per vedere l’intera illustrazione. |
Sono sempre stato velocissimo, nel mio lavoro, ed è una cosa per cui Cormio mi ha sempre rimproverato: “Qui non siamo alla Corno – mi diceva – qui bisogna fare le cose con calma!” Allora ci alzavamo e andavamo tutti nello studio di Sergio a chiacchierare un po’ fumando una sigaretta, felici di mantenere un’atmosfera rilassata…
► Non ricordo esattamente… Quand’è che arrivò l’albo interamente disegnato da te per la collana Rodeo? Era il numero 159, “L’astronave perduta”. Lavoravi già qui in via Buonarroti, no?
Sì, fu l’unico albo di fantascienza di quella collana, uscì in edicola nel 1981. Bonelli me lo chiese come sfida: lui sapeva che mi piaceva l’astronomia, così volle vedere se ero capace di inventare un fumetto. Io scrissi il soggetto, poi la sceneggiatura la realizzò Giorgio Pezzin. Credo di averlo finito in quattro mesi: quando facevo fumetti, la mia regola era “ogni giorno una tavola“! Al mattino le matite, al pomeriggio le chine. Bonelli si meravigliò: “Oh, per uno che fa un albo ogni vent’anni…“
► Perché era un bel po’ che non disegnavi fumetti, dopo “Maschera Nera”…
Dopo “Maschera Nera”, nei primi anni ’60, feci “Thomas”, nel 1969, e poi altri piccoli fumetti di vario genere, anche caricaturale. Qualche cosa avevo fatto, però era da un bel po’ che non mi mettevo all’opera su di un albo intero.
► Parlando invece dal lato grafico, in particolare dei tanti loghi o titoli che hai realizzato per la nostra Casa editrice, ce n’è uno al quale sei particolarmente affezionato?
Non saprei… forse il logo di Nathan Never è quello che mi piace più di tutti. Quello per Dylan Dog è molto apprezzato, ma in realtà lo feci in quel modo soprattutto perché doveva risultare ben leggibile. Invece in Nathan Never, che è successivo a quello dell’Indagatore dell’Incubo, c’è un po’ più di elaborazione. All’epoca di Mister No, invece, si usava ancora mettere il marchietto un po’… diciamo così, volante! Non c’era la testata con posizione fissa, in alto… E il marchietto non era caratterizzato da un segno regolare, dritto dritto: lo feci un po’ mosso, quasi zigrinato, renderlo un po’ più morbido e dinamico. Era un periodo in cui non si usavano ancora i computer e anche le ombre sul bordo di un logo le si disegnava a mano…
Riguardo i titoli delle storie (sia quelli in copertina che quelli interni), ne ho realizzati talmente tanti che fatico a ricordarmene qualcuno che prediligo rispetto agli altri. Cercavo sempre di sfruttare la suggestione di alcune parole che li componevano per scatenare la mia fantasia e divertirmi un po’, muovendo i caratteri, distorcendoli, trasformandoli in modo che accompagnassero e presentassero nel modo migliore l’avventura al lettore.
A cura di Luca Del Savio
