Michele Masiero, direttore editoriale di Sergio Bonelli Editore e autore di tante sceneggiature per Mister No e Dylan Dog, è lo scrittore del nuovo Romanzo a fumetti, “Cheyenne“, in uscita in questi giorni in edicola e fumetteria e disponibile anche nel nostro Shop online. Disegnato da Fabio Valdambrini, “Cheyenne” è un western crepuscolare e violento, incentrato sulla figura di un bambino bianco allevato da un tribù di indiani. Ne abbiamo parlato con lo stesso Masiero, per farci raccontare qual è stata la molla che l’ha portato a raccontare questa storia.
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► Film come “Soldato Blu” e “Il piccolo grande uomo” hanno ribaltato la visione classica che il cinema aveva dato degli indiani fino a quel momento. In “Cheyenne” tu hai fatto più o meno lo stesso, ma quali sono stati i tuoi punti di partenza?
Volevo riagganciarmi proprio all’immaginario del cinema western degli anni ’70, quello della controcultura, e un po’ anche ai grandi esempi dei nostri fumetti, come Ken Parker. L’idea era di ritornare a un western più crepuscolare e lavorare su personaggi “normali” invece che sulla figura dell’eroe tutto d’un pezzo.

L’idea era di ritornare a un western più crepuscolare e lavorare su personaggi “normali” invece che sulla figura dell’eroe tutto d’un pezzo.
► L’albo si apre col massacro di una tribù cheyenne perpetrato da soldati statunitensi, ma nel resto della storia anche gli indiani non scherzano, in quanto a violenza…
Sì, questo dipende dal voler pensare che non esiste “il bianco e il nero”, che non esiste “il buono da una parte e il cattivo dall’altra”. Secondo me sono chiare le responsabilità dei bianchi, che hanno compiuto un vero e proprio genocidio, sterminando e invadendo le terre e la vita delle persone che lì vivevano. Però gli indiani avevano un loro modo di vivere, distante da quello dei bianchi, anche violento, e di cui ho tenuto conto. Questo, però, non vuol dire dividere le responsabilità tra le due parti: semplicemente, si trattava di due mondi inconciliabili.
► «Io non so cosa sono. Sono Swazi, sono Boscimano, sono bianco. E forse non sono niente di tutti e tre o sono tutti e tre messi insieme», dice Orzowei nell’omonimo romanzo di Alberto Manzi. Il protagonista della tua storia è nella stessa situazione, guardato con disprezzo dagli indiani come dai bianchi. E lui, in fondo, è davvero la somma delle due parti, giusto?
Esatto. Cerca un punto di contatto tra le due culture, ma non lo trova. È straniero in entrambe queste realtà, perché non è mai completamente indiano e non è mai completamente bianco. Non è pienamente accettato dai bianchi, e anche se gli indiani si fanno meno problemi, anche loro, in alcuni momenti, lo trattano con disprezzo. Così, “Cheyenne” ogni volta si vede costretto a reinventarsi in una situazione differente.
![]() Una striscia di Fabio Valdambrini per “Cheyenne”, testi di Michele Masiero. |
► Una curiosità: nel racconto ci sono diversi dialoghi in lingua cheyenne. Come li hai scritti?
Esiste su internet un traduttore automatico inglese-cheyenne, così come immagino esista anche nelle altre lingue indiane… Ovviamente, quelle che ho utilizzato non sono frasi di senso compiuto, grammaticalmente corrette, ma le singole parole sono attinenti a ciò che i personaggi stanno dicendo. Per cui frasi come “uomo bianco”, “all’attacco”, o qualche insulto… sono il corrispettivo delle stesse frasi in inglese.
► Nelle 290 pagine di “Cheyenne” ci sono diverse scene prive di dialogo. In questi casi i disegni sono fondamentali. Sei d’accordo nel dire che Fabio Valdambrini ha fatto un ottimo lavoro, col suo segno classico e preciso?
Assolutamente. Anzi, vorrei spendere grandi complimenti per Fabio, che ha fatto un lavoro straordinario: dividiamo a metà gli oneri e gli onori di questo albo. Fabio è rimasto immerso in questa storia per anni, dimostrando una professionalità incredibile. Io e lui lavoriamo insieme dai tempi di Mister No, e in questi anni ha raggiunto una maturità grafica straordinaria. “Cheyenne” è stato un lavoro pienamente condiviso, e avendo lavorato insieme così a lungo, certe soluzioni è più facile suggerirle a qualcuno che conosci bene. Un dialogo lo si può benissimo togliere, quando l’immagine parla da sola, ma ci vuole un disegnatore di un certo tipo, e Valdambrini c’è riuscito in maniera mirabile. Tanto che il West lo accompagnerà ancora a lungo, d’ora in poi…

Un dialogo lo si può benissimo togliere, quando l’immagine parla da sola. Ma ci vuole un disegnatore di un certo tipo, e Fabio Valdambrini c’è riuscito in maniera mirabile.
► E poi il West rappresenta un po’ le fondamenta della Sergio Bonelli Editore, no?
Sì, stiamo cercando di farlo tornare, il West. Negli ultimi anni, i nostri fumetti western sono un po’ spariti, ma oltre a Tex e tutto ciò che gli gira intorno, nel tempo abbiamo avuto Ken Parker, Magico Vento, Storia del West… Ci piaceva l’idea di ritornare a questo tipo di atmosfere. Ci si lamenta sempre che il cinema le sta un po’ dimenticando, ma pian piano anche noi le abbiamo lasciate, per andare verso tematiche più moderne e più fantastiche. Torniamo nel West con “Cheyenne” e ci torneremo anche in futuro, con altri progetti legati a questo mondo. Anche con iniziative nuove, che vedranno la luce già l’anno prossimo.
A cura di Alberto Cassani
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