di Gianmaria Contro

Pare quasi di vederli, gli operai che, sotto il sole impietoso dell’equatore, armeggiano con argani e pulegge per riportare in superficie il “Königsberg”. Più di tremila tonnellate di metallo trattengono l’incrociatore tedesco nelle acque del fiume Rufiji (o Rufigi), in quel delta sinuoso che si apre in una distesa di sabbia grigiastra, dissolta infine dall’Oceano Indiano.

È il 1963, e ci vorranno due anni perché il relitto venga smantellato del tutto. Ma non importa, la nave è paziente. È passato quasi mezzo secolo da quando è stata colpita a morte proprio lì dove si trova, presso la costa dell’odierna Tanzania, che, ai “suoi” tempi, si chiamava Deutsch-Ostafrika, Africa Orientale Tedesca. C’è da chiedersi come sia finito laggiù, quel gioiello della Marina Imperiale Germanica, strumento di guerra che – ironica coincidenza – porta il nome della città natale di Immanuel Kant, il filosofo della pace perpetua.

È una storia lunga, e, come tale, deve essere condensata, inscritta in una costellazione di pietre miliari che indichino il cammino…

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In apertura: Ian Fermanagh, ritratto da Attilio Micheluzzi.